Di libretti di istruzioni, arte sequenziale e gesti
Tradurre significa letteralmente trasportare, trasferire.
Si traduce dall'italiano all'inglese, ad esempio. Ma si traduce anche quando si spiega - in altre parole - qualcosa a qualcuno che non ha capito o che non sa. Alle volte tradurre è semplificare, ma non è sempre semplice. Capita di passare - o di dover passare - da un sistema di segni ad un altro. È quello che si fa quando ci si aiuta con i gesti.
Ma per il prodotto della traduzione, le decisioni del traduttore non sono mai un elemento neutro. Così come non è neutro il ruolo del destinatario.
Come nelle istruzioni di montaggio di un mobile, o in un fumetto, quel che è successo prima, negli spazi bianchi tra un'immagine e l'altra, o che accadrà dopo, si lascia all'immaginazione di chi riceve la traduzione. Tradurre significa fare delle scelte:
scegliere parole, gesti, alfabeti e, alle volte, scegliere di non usare. Di omettere.
Non parlare di pasta, di ripieno, di pesi e di misure, potrà ad alcuni sembrare un tradimento, un sacrilegio, ma è, oltre a un atto inevitabile, un atto necessario.
Non potremo mai mangiare lo stesso cappelletto o pretendere che in futuro altri lo facciano. Perché diversi sono gli ingredienti, le mani che lo fanno, il gusto di chi lo mangia.
Perché siamo cambiati noi.
Tramandare obbliga una identità a rigenerarsi.
Tradurla è necessario per tenerla in vita, metterla in movimento e condurla oltre.
Ciò che permane è una sequenza di gesti, collettiva e identitaria che non annulla o appiattisce le differenze. Al contrario. Lascia loro gli infiniti spazi bianchi - prima, durante e dopo - da riempire con le proprie unicità e tenere la tradizione in vita.
Bibliografia e spunti
Franco Nasi, la malinconia del traduttore.
Nasi fa, tra il resto, il traduttore professionista e affronta spesso il dilemma della traduzione, dei compromessi da accettare, delle rinunce e delle scelte da fare nell'atto del tradurre.
Will Eisner e la sua definizione di fumetto come Arte Sequenziale
Bruno Munari nel 1963 pubblicò il suo Supplemento al dizionario italiano. Di mimica, gestualità e chironomia (l'arte di gestire con le mani) molto si è scritto fin dai grandi oratori dell'antica Grecia.
Dave Gray è il teorico del visual alphabet, secondo cui tramite punto, cerchio, quadrato, triangolo e linea (dritta o curva) si può tradurre in segno qualsiasi cosa rendendola universalmente comprensibile.
Tutta la teoria sul linguaggio è molto affascinate. Vi metto Wittgenstein ma se cercato un po' on line, si apre un mondo
Ultimo ma non ultimo, Oliver Sacks, acuto osservatore dei disturbi neurologici e delle loro manifestazioni evidenti nella vita dei pazienti, nel suo Vedere voci parla della sua esperienza a Martha's Vineyard, un'isola del Massachusetts in cui un tempo esisteva una forma ereditaria di sordità e tutti (udenti e non udenti) parlavano il linguaggio dei segni. Originando una sorta di "lingua creola" unica nel suo genere.
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