Un po' Daniel Spoerri, un po' Maria Montessori, un po' pranzo della domenica
- lo Staff
- 7 mag
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Mia nonna, per dirmi “andiamo in cucina” diceva “andòm in cà”.
La cucina, prima ancora di essere l’arte di combinare gli ingredienti, prima di essere tradizionale, pop, nouvelle, molecolare o gourmet, è un luogo fisico dove avviene la vita.
Sul tavolo da pranzo abbiamo fatto i compiti da bambini, abbiamo disegnato e sparpagliato fotografie. Attorno a quel tavolo abbiamo pianificato un viaggio o abbiamo giocato a risiko a Natale. Su di esso iniziano le nostre giornate. Seduti a tavola abbiamo discusso animatamente di politica, abbiamo cercato soluzioni a problemi apparentemente insormontabili. Lì abbiamo festeggiato.
E ognuna di quelle volte, in ognuno di quei giorni, sulla tavola c’era, in qualche modo, del cibo. Che siano salatini, due biscotti, una merendina, un pezzo di formaggio, due fette di salame o giusto un paio di cioccolatini e un bicchier d'acqua, quando ci sediamo a tavola, finiamo sempre per farlo insieme a del cibo.
“La TÊVLA”, per me, è anche quella tavola su cui lasciamo indelebili segni del nostro passaggio, ma che a sua volta, apparecchiata di discussioni, convinzioni e storie personali, lascia, quando ci alziamo, segni su di noi.
Difficile che ci alziamo da tavola uguali a quando ci si siamo seduti. Delle volte siamo più leggeri perché ci siamo tolti un peso parlando con qualcuno, altre volte siamo più arrabbiati, forse più saggi se su quella tavola ci abbiamo passato la notte a studiare. Forse satolli se abbiamo mangiato fino a scoppiare. Ma sicuramente diversi.
L'idea di queste tovagliette nasce dalla più nota tovaglietta montessoriana.
Maria Montessori (1870-1952), fu un medico che dedicò gran parte della propria vita alla pedagogia. Mise a punto e attuò un metodo di insegnamento noto appunto come "metodo montessori" che trovò la sua prima espressione (1907) nella scuola per l'infanzia romana nota come "La casa dei bambini", modello poi replicato anche altrove con successo. Nata come luogo per educare i figli e le figlie di manodopera a basso costo chiamata in gran numero per edificare un grosso complesso di case a Roma, la casa dei bambini fu la prima scuola basata sull'idea che i piccoli dovessero potersi muovere nello spazio al meglio per sviluppare le proprie competenze cognitive. Per questa ragione, i tavoli, le sedie, i bagni, e l'arredo in genere, erano tutti piccoli, a misura di bambino, appunto. Anche le attività servivano per coinvolgere attivamente i bimbi e soprattutto renderli autonomi, catalizzando i loro sforzi non in attività senza finalità alcuna, bensì mirati ad uno scopo. In questo contesto si inseriva la tovaglietta, un semplice pezzo di stoffa che riportava la corretta posizione di piatto, bicchiere e posate, per guidare il bambino nell'apparecchiatura della tavola e svilupparne la precisione dei movimenti.
..."Quando parliamo di libertà del bambino, non intendiamo di considerare le azioni esterne disordinate che i bambini abbandonati a sé stessi compirebbero come sfogo di una attività senza scopo ma diamo alla parola il senso profondo di liberazione della sua vita da ostacoli che ne impediscono il normale sviluppo.
Questo concetto conduce a creare un ambiente adatto dove un bambino possa agire dietro una serie di scopi interessanti da raggiungere, con oggetti che invitano ad agire a compiere un vero lavoro con un reale scopo pratico. ... Esiste uno speciale segreto di successo. È la precisione, l'esattezza con cui gli atti si devono compiere. Ogni azione complessa ha momenti successivi ben distinti tra loro. Un atto segue l'altro. Cercare di riconoscere ed eseguire separatamente quegli atti successivi costituisce l'analisi dei movimenti. All'analisi va aggiunta l'economia dei movimenti. Non eseguire alcun movimento superfluo ha come conseguenza il movimento estetico. Un movimento sgraziato è in genere carico di atti inutili"
Momenti applicativi del pensiero e dell'opera di Maria Montessori (1987)
Non che io abbia particolari ambizioni pedagogiche, ma sono molto affascinata da tutto ciò che riguarda il fare in cui trovo già per il solo fatto di esser fatto - perdonate il gioco di parole - una fortissima componente estetica.
Per dirla semplice: il fare è bello (indipendentemente dal fatto che il prodotto di quel fare lo sia o meno. Ma questo è un altro capitolo).

L'altra grande ispirazione alla base di questa tavola su cui si leggono le tracce di un pranzo ormai finito arriva da Daniel Spoerri. Coreografo e pittore romeno naturalizzati svizzero ai tempi del secondo conflitto mondiale, deve la sua fama all'invenzione, per così dire, della Eat Art. Fissava nel tempo e nello spazio ciò che rimaneva delle cene tra amici. Così esistono opere dal titolo "Mangiato da Marcel Douchamp" o "Mangiato da Roy Lichtenstein".
Per il manifesto del movimento Nouveau Realisme scrisse: "Io non faccio che mettere un po' di colla su degli oggetti; non mi permetto alcuna creatività".
Esiste un libro (vi lascio le foto qui sotto), direi mai tradotto in italiano, dal titolo "Anekdoten zu einer Topographie des Zufalls“ o «Topographie anecdotée du hasard» (“Topografia anedottica del caso”) pubblicato in occasione della prima mostra di Spoerri a Parigi nel 1962. L'intero libro, una sorta di documento programmatico in cui l'artista getta le basi di quella che sarà la filosofia dei suoi "quadri trappola" (tableaux-piègesè) è una legenda dettagliata ricca di aneddoti per l'ultima pagina in cui è riportata una mappa in bianco e nero di tutti gli oggetti presenti sulla sua tavola di cucina in un determinato momento. Su di essa solo i contorni neri degli oggetti contrassegnati da numeri romani come rimando alle rispettive descrizioni.
Il libro pare quasi un diario. Leggendolo si può immaginare non solo la tavola comporsi, nel corso del tempo, ma anche gli attimi precedenti e successivi della vita dell'artista, delle persone che con lui hanno interagito intorno a quel tavolo, di ciò che hanno portato, preso o lasciato con una precisione quasi da sceneggiatura cinematografica. Infatti, se vi capiterà tra le mani, non credo sia difficile che leggendolo avrete l'impressione di sentire un voice over su immagini di persone che fanno cose e che convogliano, in momenti diversi, nella sala da pranzo di Spoerri (e della moglie, che ha documentato la tavola con decine di fotografia che non compaiono nel libro ma che sono servite all'artista per ricostruire dettagliatamente i fatti). E una specie di time lapse di questa tavola inquadrata dall'alto, come in effetti è rappresentata nella piantina allegata, che pian piano si compone.
Tornando a noi e alle tovagliette, quel che volevo fare era rendere omaggio alla tavola (emiliana, ma solo perché è quella a cui sono più affezionata) dove tra piatti ed esperienze, chiunque si siede prende - e aggiunge - qualcosa senza mai soluzione di continuità.
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