Ogni domenica che il Signore - o chi per lui - manda su questa terra, a me viene voglia di gnocco fritto. Comincia intorno alle cinque di pomeriggio, ovunque io mi trovi, qualsiasi cosa io stia facendo.
Sarà che, specialmente con la bella stagione, l’Emilia si popola di sagre di paese, circolini Arci e parrocchie che friggono gnocco come se non ci fosse un domani, fatto sta che stasera non ho resistito. La scorsa settimana ho fatto l’erbazzone (altra cosa che mi porterei sulla famosa isola deserta senza se e senza ma) e mi è avanzato un po’ di impasto.
L’ho congelato (Sììììì, avete letto bene!!!) per il momento del bisogno.
Be’, il momento del bisogno è adesso.
Vi lascio un mini video della ricetta, ma vorrei approfittare dell’occasione per aprire una piccola parentesi sulla frittura e sul punto di fumo del grasso in cui si frigge.
Se avete voglia, è qui sotto; se no saltate pur tutto e passate a farvi IL gnocco (sì, in Emilia non esiste l’articolo determinativo “lo” davanti alla parola gnocco), ma sappiate che per la buona riuscita della frittura, perché i fagottini di gnocco vengano gonfi e quel giusto mix tra soffice e croccante, è fondamentale scegliere un olio (o mix di olii già pronto in commercio, spesso definiti alto oleici) specifico per friggere. Sotto al video vi racconto perché.
La frittura
Per frittura s’intende la cottura di un alimento immerso di un grasso - di origine animale o vegetale - che, ad una determinata temperatura, trasferisce calore all’alimento e, appunto, lo cuoce.
Indipendentemente da quale sia il grasso in cui friggiamo, esso colpisce solo la superficie del cibo. Sotto la superficie, ciò che cuoce l’alimento è “solo” calore; il cibo, internamente, non risponde dunque in modo diverso da come farebbe in una cottura ad aria (nel forno caldo o nelle cosiddette friggitrici ad aria) o ad acqua (bollito).
Ciò che distingue la frittura dalle altre cotture è che, a differenza di acqua e aria, il grasso non è solo un mezzo di cottura (di propagazione del calore) ma è anche un ingrediente!
Il calore cuoce l'olio (il burro, lo strutto…) proprio come fa con gli altri ingredienti e i cambiamenti che il grasso subisce durante il riscaldamento hanno un impatto profondo sul risultato finale, sia in termini di consistenza, sia di sapore. L'olio potrà dare un sapore gradevole o, al contrario, una sensazione calda e scivolosa in bocca, un sentore rancido oppure un sapore di bruciato. Tutto questo dipende dal tipo di olio utilizzato, da quanto e come viene manipolato, e dal modo in cui interagisce con gli altri ingredienti durante la cottura.
Ma cosa avviene all’alimento?
La frittura funziona in modo molto simile alla cottura in forno. In entrambe le tecniche, un fluido (aria o grasso) trasferisce calore al cibo: durante la cottura, il fluido avvolge l’alimento e la temperatura esterna più alta si propaga all’alimento sfruttando l'umidità in esso contenuta che gioca un ruolo importante anche durante la frittura.
L'umidità (l’acqua) contenuta nel cibo è spinta ad evaporare dal calore applicato alla superficie dell’alimento. Questo effetto è pressoché invisibile nella cottura in forno (se non quando aprite la porta e venite investiti da una nuvola di vapore che vi scotta il viso e vi fa appannare gli occhiali), ma nella frittura il vapore dà origine a innumerevoli bolle visibili nell’olio, sulla superficie e attorno al cibo. Il vapore fuoriesce dal cibo meno facilmente in olio di quanto non faccia nell'aria. L'olio ostacola l'evaporazione tramite un effetto “cappa” che la inibisce e la rallenta almeno momentaneamente. “Cuscinetti” di vapore avvolgono il cibo trattenendo l'umidità nell’alimento e intorno ad esso. Questa umidità sarà veicolo di calore verso l’interno fino al cuore dell’alimento e ne provocherà la cottura.
Possiamo dividere la frittura di un alimento in fasi:
L’alimento viene inserito nell’olio ad una temperatura più bassa rispetto a quella del grasso di frittura. Nella prima fase, l’umidità sulla superficie dell’alimento si scalda e, più o meno lentamente (a seconda della temperatura dell’olio e dell’alimento), raggiunge la temperatura di evaporazione. Bolle di vapore acqueo fuoriescono dal cibo (generando un cuscinetto di vapore caldo che avvolge l’alimento) e fintanto che lo faranno, la superficie dell’alimento non supererà la temperatura di ebollizione dell’acqua. La temperatura della superficie dell’alimento inizierà a uniformarsi e stabilizzarsi e le bolle diminuiranno sempre di più fino a sparire. La superficie dell’alimento si sta seccando, inizierà a formarsi una crosta e il calore si propagherà più in profondità verso il cuore.
Da questo punto in poi la crosta dell’alimento da croccante e dorata inizierà sempre più a colorarsi fino a bruciarsi. Il segreto di una buona frittura è riuscire a cuocere l’alimento al cuore senza che la crosta bruci.
Per questo, una ulteriore variabile da mettere in relazione con la temperatura del grasso, le sue caratteristiche e l’umidità contenuta nell’alimento, è lo spessore del cibo da cuocere e dunque il tempo che il calore necessiterà per raggiungere il cuore. Pezzi di cibo troppo spessi o dallo spessore disomogeneo sono pertanto inadatti alla frittura o comunque vanno trattati con maggiore attenzione valutando ad esempio precotture al cuore, sfruttando la frittura solo in un secondo momento per ottenere una crosta dorata.
Un esempio pratico ce lo forniscono gli alimenti da friggere surgelati. Pensate alle patatine da friggere. Se leggete con attenzione sulla scatola, quasi sicuramente è indicato che hanno subito una precottura (al forno o per immersione nell’olio). Questo processo non è da demonizzare, anzi! Ora che sappiamo il perché, possiamo pensare di adottarlo in casa ad esempio facendo bollire o precuocendo in forno alimenti che vogliamo friggere (pensando anche di congelarli per poi friggerli quando ne avremo bisogno!). Questo velocizzerà il processo di frittura e ci aiuterà a controllare la cottura!
Cosa avviene al grasso?
Come già accennato sopra, nella frittura anche il grasso è un ingrediente a tutti gli effetti. Il suo riscaldamento ad alte temperature e l’interazione con l’alimento e con l’ambiente, avviano a cascata una serie di reazioni chimiche che hanno un profondo effetto sul sapore. Dall’ossidazione delle molecole di grasso si originano una serie di composti che interagiscono con altri elementi chimici presenti nell’olio stesso e nell’alimento dando origine a nuovi composti con gusti diversi. Molti sono meravigliosamente aromatico; conferiscono il caratteristico sapore di frittura nell'olio e, quindi, nel cibo. Altri hanno un odore orribile e possono essere nocivi oltre che poco appetitosi.
Il passaggio dal piacevole gusto di fritto alle sensazioni sgradevoli di stantio dipende in gran parte da quanto e come ha fritto il grasso. Tutti noi sappiamo che il cibo cucinato nell’olio vecchio, che ha fritto molto, ha un sapore rancido. Ma non tutti sanno che anche l'olio nuovo ha dei limiti. Al momento dell’acquisto, la maggior parte del grasso per friggere è praticamente inodore e insapore perché le reazioni chimiche a cui abbiamo fatto cenno poco sopra non sono ancora avvenute. Se avete esperienza con la frittura, avrete notato che il cibo fritto in un grasso mai utilizzato prima, colora meno velocemente e in modo meno uniforme. Ma come mai, dal momento che agiamo sempre allo stesso modo sia che si tratti di olio nuovo che di olio già utilizzato in precedenza? La risposta si riduce al semplice fatto che l’olio, quando è nuovo, non si può mescolare con l’acqua.
Per questo motivo, se l'olio di frittura è nuovo, il cibo sarà a contatto diretto con l'olio per non più del 10% del tempo che gli servirà per cuocersi. Il resto del tempo il vapore acqueo liberato dal cibo sotto forma di bolle, isola l’alimento dall’olio e ne propaga solo il calore verso l’interno.
(immagine tratta da Modernist Cousine)
Il vapore acqueo esplode attraverso fessure e pori sulla superficie del cibo, come piccoli "vulcani" che eruttano vapore nell'olio circostante. È in queste piccole fessure che, una volta che il prodotto viene estratto dall’olio e lasciato raffreddare, l'olio entra per capillarità e rischia di far sembrare il prodotto eccessivamente unto al palato.
Semplicemente tamponando il cibo fritto non appena esce dalla friggitrice si eviterà questo fenomeno. Ma attenzione a non rimuovere tutto il “rivestimento di grasso”. Poiché come abbiamo già detto, la parte interna del cibo cuoce allo stesso modo in cui cuocerebbe in un forno; è quello che avviene e rimane sulla superficie la fonte di gran parte del sapore, della consistenza e della sensazione che il cibo fritto trasmette in bocca.
Dopo un uso ripetuto, il grasso passa attraverso un'altra serie di reazioni chimiche, tra cui l’idrolisi (una reazione di scissione prodotta dall’acqua), che scindono e riorganizzano alcune delle molecole di grasso. Tra i nuovi prodotti di reazione ci sono gli emulsionanti, che lasciare legare olio e acqua. Il cibo cotto in un grasso che ha subito queste modificazioni, spenderà più della metà del tempo di frittura a contatto diretto con l'olio (contro il 10% del tempo nell’olio nuovo). Per questo motivo, il trasferimento di calore dal grasso all’alimento avverrà in minor tempo, il cibo dunque non starà a lungo alla temperatura di evaporazione dell’acqua (non si forma il cuscinetto d’aria ad una temperatura di 100 gradi) con il risultato che l’alimento cuocerà più velocemente, a temperatura più alta e svilupperà un colore marrone dorato uniforme, e un sapore più robusto. Sfortunatamente, il grasso non può essere mantenuto a queste condizioni ottimali per sempre. Le reazioni che lo “migliorano” sono le stesse che finiranno per rovinarlo. Gli emulsionanti si accumulano ogni volta che l'olio viene riscaldato, quindi alla fine l'olio e l'acqua si mescola quasi completamente e l'olio sta troppo tempo a contatto con il cibo immerso in esso, bruciandolo. Inoltre, frammenti di molecole di grasso polimerizzano (si uniscono), assumendo una consistenza appiccicosa e finendo per aderire al cibo mentre viene estratto dalla friggitrice.
L’olio inizia a schiumare in modo molto simile a quello dello zucchero cotto, creando bolle dalla consistenza gelatinosa e densa. L’olio inoltre è scuro e ha un odore acre, rancido e di pesce. È il segno che le reazioni sono andate troppo oltre.
Quest’olio non è solo cattivo ma anche decisamente pericoloso. La degradazione chimica dell'olio abbassa i punti di fumo e di infiammabilità, aumentando il rischio che il grasso prenda fuoco. L’olio vecchio inoltre accumula alti livelli di acroleina, acrilammide e altri composti tossici, molti dei quali sono creati dai pezzi di cibo carbonizzati che si accumulano nel tempo nell'olio di frittura. Questo è il motivo per cui, nelle friggitrici, l’elemento riscaldante (solitamente una resistenza) si trova leggermente sollevata dal fondo in modo tale da creare sotto di sé una zona più “fredda” in cui i residui di cibo, con il peso, si accumulano. Per lo stesso motivo è consigliabile filtrare il grasso prima di riutilizzarlo, eliminando piccole parti di cibo carbonizzato che si staccano durante la frittura.
Scegliere il grasso
L’esposizione all’ossigeno dell’aria e la presenza del cibo, contenente acqua, innescano processi di degradazione e ossidazione nel grasso. Più è alta la temperatura, più le trasformazioni sono veloci. Ma non tutti i grassi reagiscono allo stesso modo a queste sollecitazioni. Purtroppo è difficile stabilire valori precisi e univoci per classificare un grasso poiché anche a parità di tipo, impurità e acidi grassi liberi, modalità di produzione e perfino di trasporto possono avere un impatto importante sulle reazioni alle sollecitazioni. Oltre a riportare in tabella più sotto, i valori medi per le caratteristiche dei più comuni tipi di grasso, elenchiamo di seguito alcune considerazioni:
la temperatura di frittura. Più la temperatura è bassa, più l’olio sarà denso. Friggere a temperature basse farà sì che meno olio verrà drenato dalla superficie del cibo poiché “scivolerà” più difficilmente via da esso quando lo estrarremo dalla friggitrice.
Ridurre la temperatura di frittura tende anche a produrre una crosta coriacea e più spessa che assorbe un maggior quantitativo di olio dopo la cottura.
Ad esempio, cucinare patatine fritte a soli 10 gradi al di sotto della temperatura consigliata di 180 - 185 gradi può aumentare l'assorbimento di olio del 40%. Per ridurre al minimo il grasso assorbito e ottenere una crosta sottile e delicata, è sempre meglio friggere ad una temperatura sufficientemente alta ma facendo sempre attenzione a non superare il punto di fumo e a non bruciare l’alimento o il grasso.
La resistenza all’ossidazione e il punto di fumo. Per punto di fumo s’intende la temperatura approssimata alla quale l’olio comincia a produrre fumi tossici. Per questo motivo è importante scegliere un olio che abbia un punto di fumo ben superiore alla temperatura di frittura.
La tabella seguente elenca le caratteristiche importanti per alcuni dei più comuni oli di frittura.
Strutto e olio di palma (grassi saturi) sono quelli che resistono meglio all’ossidazione. Anche l’olio d’oliva, quello di arachidi e di nocciole (monoinsaturi) hanno una buona resistenza. L’olio extravergine poi è ricco di antiossidanti che ne prolungano la stabilità. L’olio di arachide ha un ulteriore vantaggio: oltre ad essere praticamente insapore, ha un punto di fumo che supera i 200°C.
Gli oli più instabili (se esposti ad aria e luce) sono invece quelli di mais, soia e girasole che si deteriorano assai rapidamente ( diverso è il caso delgli oii “alto oleici”, trattati in modo da diventare assai stabili).
La sensazione in bocca e la temperatura di servizio. Un'altra componente cruciale per ottenere il miglior gusto da un prodotto è considerare la temperatura a cui verrà consumato. Basti pensare alle patatine chips o a un bombolone. Le patatine fritte, per esempio, dovrebbe essere fatto utilizzando un grasso che si scioglie in bocca, il che significa che dovremo selezionare un grasso il cui punto di fusione sia inferiore alla temperatura corporea. La maggior parte degli olii saturi - e anche alcuni parzialmente insaturi - si sciolgono ben al di sopra della temperatura corporea, quindi non sono adatti per friggere cibi serviti freddi.
L'età del grasso. Di questo abbiamo parlato poco sopra analizzando cosa succede nel grasso mentre si frigge.
La stabilità del grasso (1)
Ma la frittura ad aria?
Nella frittura ad aria, un getto d’aria calda del tutto simile a quello presente in un forno convenzionale investe e cuoce il cibo. Sul fondo della friggitrice (da cui il cibo è separato per mezzo di un cestello) viene inserita una esigua quantità di olio che, scaldandosi, subisce tutta quella serie di reazione che portano alla nascita dei composti aromatici tipici della frittura. All’interno della friggitrice ad aria gli aromi si legano al cibo senza però che quest’ultimo accumuli sulla propria superficie una certa quantità di grasso come avviene invece nella frittura ad immersione.
(1) Un po’ di chimica per chi ha voglia di saperne di più:
Per capire meglio questo punto, vi lascio un pdf per vedere brevemente cosa sono i grassi coinvolti nel processo di frittura e come si comportano. Questo ci aiuterà a capire i cambiamenti che avvengono sia all’interno dell’alimento fritto, sia nel grasso.
La stabilità del grasso. Con stabilità di un acido grasso si intende la sua tendenza a subire alterazioni chimiche ed è direttamente collegato al suo grado di insaturazione. La presenza dei doppi legami (vedi pdf di approfondimento) rende un acido grasso molto più soggetto ad alterazione (prima fra tutte l’ossidazione) se esposto a calore – come nel nostro caso -, ossigeno o luce. I grassi saturi sono dunque i più stabili e per questo anche molto meno inclini a penetrare in profondità nella crosta dei cibi fritti e consumati freddi. I grassi saturi proprio per questa loro maggiore stabilità, rimangano più a lungo nelle condizioni ottimali di frittura.
Al contrario, nei grassi insaturi, le molecole polinsature denaturano molto più rapidamente dando origine ad aromi rancidi e composti tossici. La breve durata del lotto degli oli insaturi può rendere inoltre il loro impiego più costosi rispetto agli oli saturati che possono essere utilizzati più a lungo.
In generale possiamo dire che i grassi saturi resistono meglio all’ossidazione rispetto ai monoinsaturi. I polinasturi sono quelli che resistono peggio.
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