Avevo sei anni quando, nel consueto tema sulla mamma, ho scritto, lapidaria e brutale come solo un bambino sa essere, questa frase:
“Mia madre non cucina, scongela”.
Tale affermazione ha procurato a mia madre un colloquio con la maestra e a me decenni di rievocazioni del fattaccio ad ogni occasione utile.
A onor del vero va detto che il tema continuava così:
Mia madre non cucina, scongela. Ma sa fare bene la macedonia.
Comunque, avete presente quando un’affermazione viene ripetuta talmente tante volte che diventa vera nei fatti?
Tanto vera che non capisci più se è nata perché effettivamente tua madre non cucina o se tua madre, cuoca provetta in potenza, sia rimasta così scottata da suddetta affermazione - o dal colloquio con la maestra - da aver appeso per sempre il grembiule al chiodo.
Resta il fatto che, nei molti anni a venire, e durante i quasi 15 anni di vita da cuoca professionista, ogni volta che mi veniva chiesto da chi avessi imparato a cucinare, io rispondevo “da mia nonna, perché mia madre non cucina”.
In psicologia questo tipo di fenomeno è spiegato dai bias. So che questo termine avrà strappato come minimo un sorriso a chi, come me, è nato e cresciuto in Emilia e mastica – è proprio il caso di dirlo – il dialetto locale.
La parola biâs infatti, identifica il cibo masticato e in modo particolare quel boccone che i bambini, mangiando controvoglia, tengono in bocca più del necessario, al solo scopo di rimandare il momento della deglutizione.
Tornando a noi, per definire un bias (pronunciato “baiəs”) bisogna fare un passo indietro e parlare di euristiche.
Il termine euristica, dal greco “heurískein”, significa “trovare”, “scoprire”. Un’euristica, infatti, altro non è che quel procedimento mentale - tanto intuitivo quanto sbrigativo - che ci consente di semplificare la realtà giungendo alla conclusione più rapida con il minimo sforzo cognitivo (economicità cognitiva).
Ma capita, a volte, che la semplificazione comporti delle storture, e succede allora che le euristiche diventino bias cognitivi, ovvero euristiche inefficaci. Quei pregiudizi astratti che non si basano su dati di realtà ma su convinzioni a priori.
Uno dei più inflazionati è il bias di conferma. Come dice il nome stesso, si tratta di quel ragionamento in cui ci infiliamo ogni volta che prendiamo in considerazione solo notizie, pareri o evidenze che confermano ciò di cui siamo già convinti, minimizzando ciò che ci contraddice.
Ma capita che questo bias, in cui spesso dimorano gli equilibri sociali, nelle famiglie, nei gruppi di amici, sul posto di lavoro, alle volte presenti il conto.
Oggi è il compleanno di mia madre, il secondo di tanti che non passerà con noi.
In questi anni non conto le volte che mi sono accorta che mia madre, in realtà, cucinava eccome.
Me ne accorgo ogni volta che mia sorella mi manda un messaggio per chiedermi come cucinasse, ad esempio, quel suo tortino di patate. Me ne accorgo ogni volta che in casa mi chiedono di fare la bomba di riso, che non mi viene mai uguale alla sua. Allora non ci è rimasto che, con pazienza, provare a dedurre le ricette, procedendo per prove ed errori, consultando appunti scarabocchiati su qualche ricettario.
La torta margherita è una di queste.
L’abbiamo trovata in un cassetto su un vecchio ricettario del mulinex, quel robot da cucina con il boccale a sfera che è stato in tutte le case degli anni ’80. L’abbiamo ricostruita mischiando le annotazioni con la tradizione orale che ne faceva mia madre.
Recitava più o meno così:(1)
6 cucchiai di farina
7 di fecola
12 cucchiai di zucchero
una dose per dolci
una bustina di vanillina
un panetto di burro medio
4 uova
Abbiamo utilizzato lo stesso stampo. Uno stampo insolito per farci una torta, di acciaio, con il doppio fondo; e uno strano anellino su un lato che, con il suo tintinnare inconfondibile mentre mia madre imburrava lo stampo, sanciva il momento esatto in cui entrare in cucina a leccare l’impasto crudo dalla “boccia” del robot.
L’abbiamo sbagliata diverse volte, sia nelle dosi, sia nei modi e tempi di cottura di cui non abbiamo trovato traccia da nessuna parte, ma possiamo dire di essere d’accordo sul dichiararla ricetta ufficiale.
Sarà un altro bias e, se non esiste per la psicologia, lo inventeremo noi. O meglio, sarà un’euristica, che ignora le differenze tra la nostra torta e la sua per semplificare - per rendere un po’ meno difficile - questa realtà senza di lei.
Vi lascio un libro:
Mai come mia madre e altre cose che ho imparato da lei, di Ruth Reichl.
Titolo originale: Not Becoming My Mother: and Other Things She Taught Me Along the Way
La Reichl è stata una grande cuoca negli anni ’70 e ha avuto una lunga carriera come la più famosa e temuta critica gastronomica del New York Times, esperienza, quest’ultima, raccontata in una serie di libri indimenticabili, tra parrucche, travestimenti e ispezioni in incognito.
(1) nel video trovate le dosi in grammi
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